"Un politico pensa alle prossime elezioni. Un uomo di stato pensa alle future generazioni." (John Clarke)
Non c'è troppo da star a spiegare il perchè uno che se ne va sceglie di andarsene da qui. E' tutto racchiuso nell'aforisma di cui sopra.
C'è invece da focalizzarsi sul "quando" una tale idea nasce. Quando riesce a farsi strada tra le barriere e i legami che serriamo. Quando cresce, s'ingigantisce. E d'un tratto d'esplode.
Il mio "quando" è esploso lo scorso autunno.
Lo scorso autunno ho visto condannare a morte il futuro del mio paese.
Ho visto condannare l'università pubblica. Ho visto trattare come rottami fior di ricercatori, li ho visti parcheggiati in una discarica di cui il mondo si sarebbe potuto tranquillamente dimenticare.
Ho visto l'agonia della scuola pubblica, che tra mille riforme in pochi anni è stata smembrata, poi riaccorpata, divisa e fatta a pezzi.
Ho avvertito storcere nasi alla parola ricerca nella stessa frase di investimenti.
Ma soprattutto, come qualcuno di voi ha evidenziato nei commenti, ho assaporato l'individualismo, saggiato il menefreghismo sociale.
Ho scoperto che troppe volte evitiamo di scendere in piazza e far sentire la nostra voce quando i problemi non ci toccano direttamente.
Non c'era nessuno a manifestare per il futuro nello scorso caldo autunno oltre a studenti e precari.
Nessun altro.
Siamo davvero alla deriva. Siamo in balia di onde che presagiscono un rapido naufragio.
Non c'è spazio per avanzare. Non c'è spazio per crescere.
E allora ho pensato bene di fare l'unica cosa che era nelle mie possibilità: procacciarmi un futuro da solo.
Non volevo affatto naufragare in un mare di ghiaccio.
Non volevo agonizzare.
Ora che i problemi sembrano di tutti sembra che qualcosa si stia muovendo, che la gente abbia una voglia di rivalsa che spero solo non sia fittizia.
Il 15 ottobre 2011 a far sentire la mia voce alla manifestazione che sta prendendo corpo io ci volevo essere.
Ci volevo essere perché non sono né di destra né di sinistra. Perché sono un semplice cittadino italiano.
Farò il tifo per chi ci sarà e sarò orgoglioso di ogni mio connazionale presente.
Ma questa Italia io, purtroppo, l'ho già persa.
Io me ne sono andato diversi anni fa. Quest'anno avevo pensato di tornare, complice un divorzio burrascoso... Ho trovato una situazione assurda. Gente che mi diceva, senza alcuna vergogna in faccia, di aver licenziato 100 persone in Italia ma aver aperto uno stabilimento da 500 persone in Cina. CEO che mi parlavano in dialetto. Gente che mi offriva un contratto di "consulenza" con 12 fatture l'anno di uguale (e ridicolo) importo. Squallidi capannoni con dentro macchinari risalenti agli anni '50 ma fuori parcheggiate Audi e Cayenne nuove fiammanti. Ottuagenari rincoglioniti che mi dicevano che "sono un po' vecchio" (39 anni) ma che se mi accontentavo di una paga da "giovane" (=da fame) se ne poteva parlare.
RispondiEliminaAlla fine ho deciso di andare ancora più lontano.
Forse aveva ragione quella studentessa che parlava della sua esperienza di studio a Londra. Ne era entusiasta. Ed aggiungeva: "In Italia non c'è il senso del rispetto. Per questo me ne sono andata"...
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